La città al tempo del Covid-19

«Durante la pandemia molti hanno scoperto quanto siano superflui alcuni spostamenti. I governi possono partire da questa nuova consapevolezza e investire negli spazi pedonali e ciclabili, oltre che nei trasporti pubblici […] Bisognerebbe investire nelle energie pulite e ancora di più nella riduzione della domanda di energia, per esempio puntando sull’efficienza energetica delle case. La pandemia ha messo in luce la necessità di una migliore progettazione urbanistica, che riduca gli spazi dedicati alle auto e moltiplichi quelli per gli esseri umani.» [George Monbiot, I governi non devono aiutare le industrie che inquinano, The Guardian, Internazionale, 1357, 8 maggio 2020]

Il trauma Covid-19 svela drammaticamente le nostre illusioni: la certezza dei nostri programmi, il progresso scontato, l’inesauribilità delle risorse e dei beni reperibili al supermercato.
L’emergenza ne richiama altre tra loro collegate: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, inquinamento ambientale, gravi disuguaglianze, migrazioni e guerre.
Crisi in apparenza remote che ora sono qui. Dopo l’età della disattenzione oggi dovremmo aver compreso i tempi e la prudenza della scienza che non è magia, il tempo della cura, il valore di un sistema sanitario capillare, di un ambiente sano, di una scuola che aiuti tutti a crescere con profondità, dei servizi per i più fragili, dell’assistenza domiciliare, di una passeggiata, dei negozi di vicinato.
Proviamo a pensare la città da adulti che si confrontano con la complessità e imprevedibilità del reale. La crisi, il passaggio dalle abitudini alla novità, è un’opportunità per rinnovare lo sguardo sullo spazio urbano (urbs) contenitore e specchio della società (civitas).
Gli schemi consueti, che abbiamo creduto immutabili, non sono più sostenibili e non interpretano adeguatamente la realtà. È urgente adattare di nuovo lo spazio urbano che ci contiene. Lo vogliamo pieno di senso e di cura. Una città delle donne e degli uomini. Dei corpi, non delle automobili.
Il corpo torna al centro. Il distanziamento chiede marciapiedi larghi. Per costruirli occorrono sensi unici, corsie più strette che obbligano le automobili a ridurre velocità e inquinamento (traffic calming), meno parcheggi a lato delle strade.
Alcune strade possono essere temporaneamente trasformate in zone 30, dove le auto circolano a passo d’uomo e pedoni e ciclisti hanno la precedenza.
Altre strade possono essere trasformate temporaneamente in strade della salute (healthy streets) senza auto, dove giocare e passeggiare liberamente, prendere il sole, fare sport, incontrarsi e fermarsi con piacere ai dehors di bar. Si tratta di ripetere il modello di corso Cavour.
Nella bella stagione il distanziamento chiede dehors più ampi, purché non invadano l’intero spazio pubblico. Si possono impegnare gli esercenti a tener linda l’area circostante e a eliminare baracche, grossi ombrelloni, tettoie, fioriere, barriere. Il paesaggio è una risorsa di tutti che non va sprecata.
Occorrono tante vie alberate e cura del verde urbano, per abbattere le isole di calore, per portare biodiversità in città, perché d’estate all’ombra di un albero si sta bene.
Gli autobus non possono più essere affollati. Useremo di più l’automobile o la bicicletta? Lungo le strade principali di Pavia vorremmo vedere una raggiera di piste ciclo-pedonali che riduca la distanza e la disuguaglianza tra centro e periferia. Sarebbe un potente motore di rigenerazione urbana.
Marciapiedi larghi e piste ciclabili riducono i parcheggi a lato delle strade. Con meno automobili la città sarà più bella, tuttavia occorre compensare gli stalli persi incentivando l’uso di cortili e autorimesse e alzando di un piano o due i parcheggi esistenti (Cattaneo, Indipendenza, Oberdan, XI febbraio, Colombo, Gorizia, Cliniche, Istituti …). Immaginiamo parcheggi con tetti giardino da frequentare, freschi d’estate e piacevoli per le case che si affacciano tutto intorno.
Il lavoro da casa e le consegne a domicilio in tempo di covid-19 ci hanno fatto scoprire che molti spostamenti sono superflui e che in molti casi un’autovettura a famiglia è sufficiente. Il car sharing,l’auto in condivisione, è concorrenziale se si percorrono meno di 10.000 Km/anno. Incoraggiando l’offerta di car sharing, risparmieremo, avremo più spazio libero per pedoni e biciclette, respireremo aria migliore e ricondurremo il numero pro capite di automobili alla media europea.
Si potrebbero promuovere esperimenti di agopuntura urbana in alcuni slarghi significativi periferici già dotati di esercizi pubblici (piazzale Tevere, via Torino). Si tratta di sostituire temporaneamente strisce di parcheggi con alberature, dehors, panchine e verificare nel tempo l’effetto dell’urbanità.
L’epidemia ci ha fatto riscoprire la qualità degli esercizi di vicinato, scelti per non assembrarci nei centri commerciali. Occorre favorirne l’apertura nelle zone meno servite. Ovunque ci vorrebbero botteghe di alimenti freschi e farmacie raggiungibili in 10 minuti a piedi dalla propria abitazione. Occorre collaborazione tra esercenti e Comune per organizzare la consegna a domicilio alle persone anziane o in difficoltà.
Vigili e infermieri di quartiere, servizi a domicilio, esercizi di vicinato, associazioni di volontariato, centri di socialità, reti di relazioni, sono dispositivi civili di un abitare adulto, alternativo a quello che riduce il cittadino a infantile consumatore.
Si potrebbe rendere provvisoriamente itinerante il mercato di piazza Petrarca, portandolo ogni giorno della settimana in un rione diverso. Un buon servizio per gli anziani che abitano in periferia.
Occorre riorganizzare l’ultimo miglio del trasporto merci, cioè la distribuzione ai dettaglianti e a domicilio (in forte crescita), adoperando piccoli mezzi elettrici collettivi (Cargobike, Cargohopper).
Alcune aree dismesse sono prossime alla trasformazione. Il nuovo funzionerà se conterrà: mix abitativo e funzionale, buoni servizi, densità urbana, spazi collettivi inclusivi, sincronici e formativi dell’immaginazione (trading zone), traffico veicolare confinato, accessibilità, sostenibilità ambientale, linguaggio architettonico di senso, verde urbano di qualità. Tuttavia non basta. Il loro successo dipenderà dalla loro permeabilità sociale, dalla rigenerazione urbana che saranno capaci di innescare. Il nuovo avrà successo se sarà capace di rammendarsi alla città esistente, attraverso reti di trasporto collettivo, percorsi ciclo-pedonali, maglie di senso profonde che vanno oltre il campo di competenza della tecnica e dell’economia.
La mobilità, come il sistema circolatorio del nostro corpo, non è che un aspetto della città. La forma della città determina la sua circolazione. Per molti anni a Pavia si sono costruiti quartieri a vanvera e conurbazioni tutto intorno senza visione di profondità, senza anteporre il progetto dello spazio pubblico. Oggi le disfunzioni sono sotto gli occhi di tutti. Urge una rigenerazione della città che abbatta il consumo di energia (nelle case e nei trasporti), di materie prime, di tempo, di suolo, di spazio e di salute.
Il trauma Covid-19 indica una direzione. La crisi si vince se tutti si mettono in gioco per costruire una normalità migliore.

Pavia, maggio 2020